Pubblicato su Il Sole24 Ore il 13 febbraio 2025
La capacità di creare e gestire community strutturate rappresenta un asset strategico fondamentale sia per chi le crea che per chi le frequenta (e possiede), con benefici che si estendono direttamente all’intera nazione
In un mondo sempre più interconnesso, la capacità di creare e gestire community strutturate rappresenta un asset strategico fondamentale sia per chi le crea che per chi le frequenta (e possiede), con benefici che si estendono direttamente all’intera nazione.
Il Legatum Prosperity Index 2023 (https://www.prosperity.com) evidenzia come i paesi con reti sociali più sviluppate, capaci di potenziare la fiducia interpersonale, dimostrino maggiore resilienza e innovazione.
L’Italia si posiziona al 30° posto su 167 nazioni analizzate e al 41° per il pilastro del “capitale sociale”, che misura la forza delle relazioni interpersonali, delle norme sociali e della partecipazione civica.
Il capitale sociale si manifesta nelle Community come prodotto della capacità relazionale di ogni singolo individuo, moltiplicata per la quantità e qualità della rete alla quale appartiene.
La Community, appunto.
Questo concetto si potrebbe esprimere attraverso un “Community Capital Index” (CCI) che considera quattro elementi fondamentali: il numero di membri attivi, la qualità delle loro relazioni, la densità delle connessioni nella rete e il livello di engagement. Una formula per misurare e confrontare il valore generato dalle diverse community.
L’importanza di questo capitale relazionale emerge chiaramente nel contesto universitario.
Le università ai vertici dei ranking internazionali vantano network di Alumni strutturati e molto attivi, dove gli ex studenti in posizioni manageriali offrono mentoring ai neolaureati, condividono opportunità professionali e supportano progetti di ricerca e innovazione.
Questo approccio strutturato alla gestione delle relazioni contribuisce significativamente al loro posizionamento nei ranking globali.
Anche le scuole superiori stanno seguendo questa direzione, investendo nella creazione di reti di ex studenti con risultati tangibili: dall’orientamento professionale attraverso testimonianze dirette, alla creazione di opportunità di stage, fino al supporto economico per borse di studio e progetti innovativi.
Il rapporto OCSE Education at a Glance 2023 conferma che i paesi con sistemi scolastici più performanti investono maggiormente nelle reti di supporto agli studenti, incluse le community di ex alunni. L’Italia investe il 4,2% del PIL in istruzione contro una media OCSE del 5,1% (in Danimarca, prima nel Prosperity Index, il 6%) (Fonte: Orizzonte Scuola).
Per le aziende, in un’epoca di grande mobilità professionale, mantenere relazioni positive con i loro Alumni (cioè gli ex dipendenti) genera valore tangibile: dalla possibilità di riattivare collaborazioni future alla creazione di partnership commerciali, fino al miglioramento della brand reputation attraverso il passaparola positivo.
Una ricerca IDC del 2021 evidenzia come le aziende con programmi strutturati di Corporate Alumni vengano considerate una risorsa strategica per migliorare reclutamento, produttività e valore del marchio.
Ricordiamo che le Community non sono rivolte e non aggregano solo Alumni (“ex studenti” o “ex dipendenti”) ma anche “appassionati” e “clienti”.
L’esempio dello Sport
Un esempio virtuoso di gestione delle Community viene dal mondo dello sport.
Prendendo il calcio come puro esempio, le principali società hanno sviluppato un modello di engagement che va ben oltre il semplice intrattenimento durante gli eventi e generano impatti significativi su tre livelli:
- sociale: creando luoghi di aggregazione intergenerazionale e interculturale
- economico: attivando partnership con attività commerciali locali e sponsor
- culturale: promuovendo valori come il fair play e il lavoro di squadra nella comunità locale e allargata (visto che le fanbase sono ormai mondiali).
La capacità di creare valore multilaterale rende le community sportive un modello di riferimento (e motore) di business ed educativo anche per altri settori.
Quindi non occorre essere a New York per costruire community efficaci e di valore, ma è sufficiente (e necessario) agire su:
- governance chiara e obiettivi definiti
- team professionali specializzati
- risorse dedicate e budget adeguati
- programmi strutturati di engagement
- comunicazione multicanale efficace
- tecnologie innovative di gestione
- metriche di misurazione dei risultati.
Per dimostrare che con un corretto investimento, visione e professionalità si può costruire una Community fatta bene, in ambito sportivo, a titolo di puro esempio e senza citare le solite multimilionarie realtà americane del football americano e del basket o le società di calcio globali con la maggiore fanbase nei vari rankings (Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Juventus, Milan, Inter nel nostro paese), mi piace citare le grandi evoluzioni che stanno avendo negli ultimi anni alcune realtà “teoricamente locali”: il Como 1907, il Venezia Calcio, le Zebre Rugby di Parma che, grazie a visione internazionale di chi le gestisce e team costruiti con grande professionalità, stanno costruendo Community di tutto rispetto.
In ambito universitario, alcune realtà hanno già colto l’importanza strategica delle community strutturate. Ho avuto il piacere e onore di seguire (e sto seguendo) Università virtuose come Università Bocconi, LIUC Università Cattaneo di Castellanza, Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, Università Campus Bio Medico di Roma, Humanitas University nel loro percorso di strutturazione di programmi di sviluppo delle loro Alumni Community.
Nel settore aziendale, diverse realtà leader hanno lanciato programmi di “Corporate Alumni” di successo, seguendo l’esempio delle grandi società di consulenza internazionali come McKinsey, Accenture e BCG.
La qualità delle relazioni determina il valore della rete
Dietro ogni community, ogni azienda, ogni università ci sono persone le cui competenze relazionali determinano il valore complessivo della rete. Come in una reazione chimica, più alto è il livello qualitativo dei singoli elementi, più potente sarà il risultato della loro interazione.
Come ha sottolineato Linda Hill, professoressa alla Harvard Business School (che ho avuto il piacere di conoscere a Torino qualche anno fa durante una tre giorni di approfondimento sui temi di Leadership) nel suo fantastico libro “Collective Genius” (HBRP, 2014, pag. 91): “le persone sono disposte ad affrontare sfide personali dell’innovazione quando si sentono parte di una comunità impegnata in qualcosa di più importante di ciascuno di loro come individui e più grande di quanto ognuno potrebbe realizzare da solo”.
Questa riflessione sottolinea come le community strutturate rappresentino un asset strategico imprescindibile, dove il valore del capitale sociale diventa misurabile attraverso l’impatto concreto sulla competitività.
La sfida per il futuro è chiara: investire sistematicamente sia nella gestione professionale delle community sia nello sviluppo delle competenze relazionali delle persone. Solo così potremo massimizzare quel potente effetto moltiplicatore che trasforma le community in veri motori di innovazione e competitività.
