Pubblicato su Il Sole24 Ore il 19 gennaio 2024
Alcuni strumenti che reputo interessanti per alimentare il capitale relazionale all’interno di organizzazioni che fanno ampio uso di smartworking
Qualche mese fa, durante una telefonata con una responsabile HR & Talent di una delle principali società di consulenza internazionale, ho appreso che avevano deciso di far lavorare in smartworking 100% delle persone neo assunte.
Ho manifestato i miei dubbi.
Ho anche fatto qualche telefonata in società simili e verificato che la pratica è tutt’altro che rara.
E se questa pratica dilagasse?
Mi sono chiesto: è la soluzione ideale per tutti? Per i giovani, per l’azienda, per i clienti?
Ragazz* neo laureat* che lavorano da casa per fare consulenza ad aziende, senza mai aver nemmeno sentito il profumo di un ufficio.
Le aziende sono composte da Persone e le Persone, da che mondo è mondo, vivono di “vicinanza”.
Anche qui, quante volte lo abbiamo letto?
Ma che Persone stiamo formando? Cosa imparano? Come si abitueranno a gestire le relazioni con gli altri? Come apprenderanno? Riusciranno a cogliere le infinite e meravigliose sfumature di una vicinanza fisica con collegh*, che contribuiscono a costruire, giorno dopo giorno, l’“esperienza” derivante dal confronto quotidiano in riunione, alla macchinetta del caffè, a pranzo, sentendo e vedendo come collegh* affrontano e risolvono (o no) i problemi, vedendo come litigano e come chiedono (o non chiedono) scusa, sentendo i loro profumi, appoggiando la mano sulla spalla di chi condivide problemi personali?
È così che si sviluppano le relazioni.
È così che si contribuisce a far nascere la fiducia reciproca.
Altrimenti abbiamo tante Persone che si confrontano solo in slot di 30’ in video conference, guardandosi a mezzo busto, con sfondi virtuali o “sfocati”.
Di fatto le stiamo allenando a vivere dietro uno schermo.
Persone che hanno 5 sensi, ma ne usano solo 2 per creare relazioni professionali: vista e udito.
Olfatto, tatto, gusto contribuiscono, o no, a potenziare la capacità relazionale?
Ci possono aiutare a migliorare, a creare relazioni, a comprendere meglio se fidarci dei colleghi?
Teniamolo a mente quando costruiamo / gestiamo team da remoto (anche non totalmente al 100%).
Per il bene delle Persone, per quello dell’azienda e dei clienti.
La tecnologia ci sta accarezzando con due promesse seducenti: il lavoro a distanza e gli assistenti virtuali super competenti.
Oggi scrivo del lavoro a distanza.
Mi sono immaginato a casa, seduto alla mia scrivania con nessuno intorno.
Ogni tot faccio una call di aggiornamento con collegh* reali, dove ognuno espone il proprio avanzamento sul suo pezzetto di attività e quando scatta la pausa caffè posso concedermi anche di prepararmelo con la moka e di gustarlo mentre osservo le piante in giardino.
In silenzio. Da solo.
Per diversi aspetti, il tutto può apparire anche bello, ma se mi immagino in questa routine per venti, trenta, sessanta giorni, non riesco a non vedermi come Jack Nicholson davanti alla sua macchina da scrivere in Shining.
E in alcuni giorni, in effetti, gli somiglio.
Pur mantenendomi produttivo e formalmente “collegato” a tutto il resto, il mio equilibrio comincia a vacillare e la qualità del lavoro e del mio stesso pensiero cala progressivamente.
Non è la stessa cosa del guardare negli occhi i colleghi, sentirne il profumo, dar loro una pacca sulla spalla (o riceverla), condividere un buon caffè mentre si parla di lavoro, ci si confronta su spunti interessanti senza che Microsoft Teams faccia scattare l’alert della prossima riunione.
Non è la stessa cosa perché conosco il beneficio della vicinanza. Ma se da Leader alleno una persona a “vivere” professionalmente da remoto, faccio il suo bene o no?
Ci sono tanti studi ma uno del Politecnico di Milano sottolinea, tra molti aspetti positivi e alcuni critici, che emerge “la percezione di un senso di isolamento verso l’organizzazione”.
È questo aspetto, molto sottovalutato, che mi preoccupa.
Se capita a me che ho esperienza e radici ben profonde nel passato che riecheggiano per ricordarmi quanto è bello stare fisicamente al fianco di collegh*, come possono crescere giovani neolaureat* che allenano “solo” due sensi?
Perdere la scintilla umana dell’interazione non formalizzata significa automatizzare il lavoro e rinunciare alla massa creativa che va sotto il nome di capitale relazionale, che rappresenta l’asset identitario di ogni organizzazione, che vive di contatto, di vicinanza, di confronto continuo, di empatia, di profumi.
Che vive dei 5 sensi, non solo di 2.
La mancanza dell’interazione sociale tipica dell’ufficio può portare sicuramente a un senso di isolamento e solitudine deleterio per la Persona e per la produttività. Allo stesso tempo, la comunicazione virtuale potrebbe non essere altrettanto efficace e spontanea come quella faccia a faccia, facendo proliferare incomprensioni che, sedimentando, potrebbero evolvere in contrasti.
Sto dicendo che lo smartworking sia un errore? Tutt’altro.
La sua introduzione ha palesato dei benefici a cui adesso è impossibile voltare le spalle, in termini di bilanciamento vita privata/lavoro, di riduzione dei costi per la persona e per l’azienda, di attrattività per le organizzazioni, di diminuzione dell’inquinamento.
Ci sono aziende che stanno eliminandolo pretendendo che le persone rientrino fisicamente a lavorare.
Per conservare in pianta stabile questi preziosi avanzamenti, dobbiamo il più possibile intervenire per recuperare ciò che il lavoro a distanza fatica a garantirci.
Come sempre serve equilibrio.
Ecco alcuni strumenti che reputo interessanti per alimentare il capitale relazionale all’interno di organizzazioni che fanno ampio uso di smartworking:
- Le piattaforme di social networking interno, dove i dipendenti possono condividere interessi, competenze, progetti personali e professionali, si stanno dimostrando un efficace spazio virtuale di connessione tra colleghi, anche se lontani fisicamente, e possono fungere da luogo di ispirazione e collaborazione.
- Organizzare attività di team building virtuali coinvolgenti e divertenti, come giochi online, sfide di risoluzione di enigmi o sessioni di storytelling, aiuta a rafforzare i legami tra i membri del team e a stimolare la creatività anche a distanza.
- Implementare programmi di mentoring virtuale, dove i dipendenti più esperti e i nuovi ingressi possono interagire attraverso sessioni di coaching online. Questa pratica non solo favorisce lo sviluppo delle competenze, ma contribuisce anche a creare un senso di comunità e condivisione.
- Organizzare sessioni di coffee break virtuali casuali, in cui i dipendenti vengono abbinati casualmente e invitati a condividere esperienze personali, interessi, o semplicemente a fare quattro chiacchiere. Questo stimola l’interazione informale e consente di conoscersi meglio anche in un contesto di smartworking.
- Organizzare giornate tematiche virtuali, dove i dipendenti possono partecipare a workshop, seminari e presentazioni su argomenti di loro interesse. Questo stimola l’apprendimento continuo, il networking e la condivisione delle conoscenze.
Incorporare queste soluzioni negli ambienti di lavoro a tasso medio alto di smartworking può contribuire a valorizzare il capitale relazionale e a mantenere vive le relazioni interpersonali, creando un equilibrio tra l’efficienza tecnologica e la coltivazione delle connessioni umane.
Merry networking a tutti.