Relazioni e formazione continua: ecco la chiave per restare competitivi

­­­Pubblicato su Il Sole24 Ore il 24 aprile 2024

La capacità di sviluppare, gestire e manutenere la propria rete di relazioni renderà statica o dinamica la risposta a ciò che ci accade intorno

 

Dopo quattro anni dall’uscita del mio libro e oltre 60 corsi di formazione aziendale sulla corretta gestione delle relazioni interpersonali, trovo sempre stimolante riflettere su tre numeri che avevo individuato e che rimandavano ad una ricerca di fine anni ’80 di McCall, Lombardo e Eichinger che avevano elaborato per il “Center for Creative Leadership” una teoria ancora oggi alla base dell’organizzazione di diverse aziende: il cd. modello 70/20/10.

La tesi, oggetto di numerose discussioni, individuava tre tipologie di apprendimento nella formazione degli individui, così distribuite:

  • 70% – informale, la conoscenza avviene attraverso esperienze acquisite sul posto di lavoro
  • 20% – sociale, attraverso l’interazione sociale, la condivisione e la collaborazione con gli altri, con la propria rete
  • 10% – formale, costruita attraverso eventi di formazione dedicati.

Queste percentuali dimostravano come fosse più utile insegnare a imparare che insegnare qualcosa di specifico durante i corsi (in presenza ed online).

Questa impostazione dovrebbe favorire:

  • la definizione periodica di occasioni di confronto (fisici o da remoto) tra persone in azienda
  • lo sviluppo di strumenti per ottimizzare la condivisione
  • la creazione di una “casa comune” digitale dove attingere e versare informazioni per risolvere criticità operative.

Jay Cross, un futurologo e padre del termine “e-learning”, a fine anni ’90 sosteneva che ben l’80% delle nostre conoscenze fosse frutto dell’apprendimento informale, non strutturato, evidenziando che la stragrande maggioranza di ciò che sappiamo lo assumiamo inconsapevolmente, attraverso l’abilità relazionale o networking, quella che io chiamo la madre di tutte le soft skill.

 

Il nostro bagaglio di conoscenze

Famiglia, amici, aggregazioni culturali, micro/macrocontesti sociali, compongono il bagaglio di legami e conoscenze a supporto della nostra interazione con l’ambiente esterno.

La capacità di sviluppare, gestire e manutenere questa rete renderà statica o dinamica la risposta a ciò che ci accade intorno, poiché la complessità del contesto richiede risposte che quasi mai trovano traduzione univoca nel paniere delle competenze tecniche che abbiamo acquisito nel nostro percorso formativo.

Ma questo non vuol dire interrompere l’apprendimento formale, anzi.

Nel 2018 un aggiornamento dello stesso paradigma svolto da una ricerca di Training Industry Inc., ha proposto una nuova tripartizione conducendo una survey tra 960 impiegati in USA e il risultato fu: 55/25/20, con un deciso incremento della formazione sociale e formale.

Ogni azienda è a sé stante per obiettivi, per cultura, per approccio ma oggi, con la crescente, veloce e consapevole (?) digitalizzazione, le percentuali potrebbero cambiare in 35/35/30 per chi fa molto smartworking con ridotta presenza fisica e molti corsi online oppure altre combinazioni (60/30/10) se investono meno nei corsi e sono tornate in presenza.

Oggi ci troviamo in quella che viene definita learning society, o società della conoscenza, dove l’apprendimento continuo delle competenze hard e soft è la condizione base per sopravvivere al suo interno, rispetto alle continue mutazioni che la caratterizzano.

 

Le necessità delle soft skill

Ci siamo sganciati da un sistema che metteva al centro la sola capacità tecnica (hard), sempre necessaria ovviamente, e abbiamo progressivamente riconosciuto il crescente valore di quell’insieme di conoscenze (soft) in grado non solo di incidere nell’applicazione di ciò che abbiamo imparato a fare, ma anche di determinare lo sviluppo di nuove competenze che ci aiutano a sopravvivere in un mondo che cambia troppo velocemente per come eravamo allenati, da centinaia di migliaia di anni, ad apprendere.

Ormai la nostra rete è la combinazione di ciò che sappiamo fare, di come siamo disposti ad imparare e di come manuteniamo quotidianamente le nostre relazioni.

Più la nostra rete si espande, maggiore sarà la nostra aderenza al contesto.

Basta guardare gli ultimi venti anni per capire quanto radicali siano stati i cambiamenti delle nostre vite, abitudini, professioni.

La spinta tecnologica è diventata talmente propulsiva da non poter consentire più di ragionare su previsioni a dieci anni, ma a due/tre. Spesso anche a meno.

La nostra responsività al sistema ci garantisce la permanenza al suo interno.

Concordo con Sonya Friedman quando nel suo libro “Gli uomini sono il dessert” afferma che: “ognuno di noi ha il controllo di tre cose: di quello che pensa, di quello che dice e di come si comporta”.

C’è chi sotto il sole si cura, chi si abbronza, chi si ustiona e chi inventa pannelli fotovoltaici.

Prendiamo pure questo riferimento: il contesto mi dice che oggi il sole è molto forte.

Io posso non reagire (rimango dove sono), reagire in modo conservativo (trovo riparo sotto l’ombra di un platano), reagire in modo aggressivo (mi riparo, mi informo, studio, trasformo in vantaggio quel fenomeno inizialmente ostile).

 

Restare sintonizzati e curiosi

Dobbiamo imparare ad ascoltare cosa accade oltre le nostre scarpe, dobbiamo rimanere agganciati al sistema e alle persone, rimanere sintonizzati e curiosi.

Le persone rappresentano imprevedibili snodi di vita e conoscenza, dalla cui interazione possono esplodere mondi prima sconosciuti.

Più saremo connessi, più saremo rilevanti, più i nostri indici di employability si manterranno alti.

Senza apprendimento continuo e trascurando il valore della rete relazionale, rischiamo seriamente di rimanere indietro, di essere obsoleti, superati.

Ce lo diciamo tutti i giorni. Le nostre aziende lo scrivono nei loro “valori”, nella “mission”, noi riempiamo i social di post dove scriviamo dell’importanza di “mettere le persone al centro”. Ma poi cosa facciamo praticamente ogni giorno oltre a dire che non abbiamo tempo? Corriamo nella rotellina come criceti senza proteggere in agenda uno slot vitale da regalarci per pensare a come rimanere rilevanti.

E allora facciamo una cosa molto semplice: appena finiamo di leggere l’articolo, apriamo subito il nostro Calendario online e blocchiamo, subito, uno slot di 30’ al giorno replicandolo tutti i giorni senza scadenza. Scriviamo nel calendario “momento di riflessione” e proteggiamolo ad ogni costo per riflettere, leggere, approfondire, pensare, allargare le conoscenze che riteniamo importanti per permetterci di restare competitivi.

Non possiamo più permetterci di “lavorare e basta”.

Non vuoi farlo? Pensi di non avere tempo? Indovina chi ne pagherà le conseguenze?

Pubblicato su Il Sole 24 Ore il 24 aprile 2024